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      La quale assoluzione tanto al popolo dispiacque, che prese le armi e corse a casa Giano della Bella a pregarlo dovesse essere operatore che si osservassero quelle leggi delle quali egli era stato inventore. Giano, che desiderava che messer Corso fusse punito, non fece posare l'armi, come molti giudicavano che dovesse fare, ma gli confortò ad ire a' Signori a dolersi del caso e pregarli che dovessero provedervi. Il popolo per tanto, pieno di sdegno, parendogli essere offeso dal Capitano e da Giano abandonato, non a' Signori, ma al palagio del Capitano itosene, quello prese e saccheggiò. Il quale atto dispiacque a tutti i cittadini; e quelli che amavano la rovina di Giano lo accusavano, attribuendo a lui tutta la colpa, di modo che, trovandosi intra gli Signori che di poi seguirono alcuno suo nimico, fu accusato al Capitano come sollevatore del popolo. E mentre che si praticava la causa sua, il popolo si armò, e corse alle sue case, offerendogli contro ai Signori e suoi nimici la difesa. Non volle Giano fare esperienza di questi populari favori, né commettere la vita sua a' magistrati, perché temeva la malignità di questi e la instabilità di quelli; tale che, per torre occasione a' nimici di ingiuriare lui, e agli amici di offendere la patria, deliberò di partirsi, e dare luogo alla invidia, e liberare i cittadini dal timore ch'eglino avevano di lui, e lasciare quella città la quale con suo carico e pericolo aveva libera dalla servitù de' potenti, e si elesse voluntario esilio.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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