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      A che noi vi confortiamo, ricordandovi che quello dominio è solo durabile che è voluntario: né vogliate, accecato da un poco di ambizione, condurvi in luogo dove non potendo stare, né più alto salire, siate, con massimo danno vostro e nostro, di cadere necessitato.
     
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      Non mossono in alcuna parte queste parole lo indurato animo del Duca; e disse non essere sua intenzione di torre la libertà a quella città, ma rendergliene: perché solo le città disunite erano serve, e le unite libere; e se Firenze, per suo ordine, di sette, ambizione e nimicizie si privasse, se le renderebbe, non torrebbe la libertà; e come a prendere questo carico non la ambizione sua, ma i prieghi di molti cittadini lo conducevano; per ciò farebbono eglino bene a contentarsi di quello che gli altri si contentavano; e quanto a quelli pericoli in ne' quali per questo poteva incorrere, non gli stimava, perché gli era ufizio di uomo non buono per timore del male lasciare il bene, e di pusillanime per un fine dubio non seguire una gloriosa impresa; e che credeva portarsi in modo che in breve tempo avere di lui confidato poco e temuto troppo cognoscerebbono. Convennono adunque i Signori, vedendo di non potere fare altro bene, che la mattina seguente il popolo si ragunasse sopra la piazza loro; con la autorità del quale si desse per uno anno al Duca la signoria, con quelle condizioni che già a Carlo duca di Calavria si era data. Era l'ottavo giorno di settembre e lo anno 1342, quando il Duca, accompagnato da messer Giovanni della Tosa e tutti i suoi consorti e da molti altri cittadini, venne in Piazza; e insieme con la Signoria salì sopra la ringhiera, che così chiamano i Fiorentini quelli gradi che sono a piè del palagio de' Signori; dove si lessono al popolo le convenzioni fatte intra la Signoria e lui.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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