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      Crebbono adunque tanto da l'una parte le insolenzie e da l'altra gli sdegni, che i capi de' popolani mostrorono al Vescovo la disonestà de' Grandi e la non buona compagnia che al popolo facevano, e lo persuasono volesse operare che i Grandi di avere la parte negli altri ufici si contentassero, e al popolo il magistrato de' Signori solamente lasciassero. Era il Vescovo naturalmente buono, ma facile ora in questa ora in quell'altra parte a rivoltarlo: di qui era nato che, ad instanzia de' suoi consorti, aveva prima il Duca di Atene favorito, di poi, per consiglio d'altri cittadini, gli aveva congiurato contro; aveva, nella riforma dello stato, favorito i Grandi, e così ora gli pareva di favorire il popolo, mosso da quelle ragioni gli furono da quelli cittadini popolani riferite. E credendo trovare in altri quella poca stabilità che era in lui, di condurre la cosa d'accordo si persuase, e convocò i quattordici, i quali ancora non avevono perduta l'autorità, e con quelle parole seppe migliori gli confortò a volere cedere il grado della Signoria al popolo, promettendone la quiete della città, altrimenti la rovina e il disfacimento loro. Queste parole alterorono forte l'animo de' Grandi; e messer Ridolfo de' Bardi con parole aspre lo riprese, chiamandolo uomo di poca fede, e rimproverandogli l'amicizia del Duca come leggieri e la cacciata di quello come traditore; e gli concluse che quelli onori ch'eglino avevono con loro pericolo acquistati volevono con loro pericolo difendere. E partitosi alterato, con gli altri, dal Vescovo, ai suoi consorti e a tutte le famiglie nobili lo fece intendere.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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