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      ini mangiono l'uno l'altro, e vanne sempre col peggio chi può meno. Debbesi adunque usare la forza quando ce ne è data occasione. La quale non può essere a noi offerta dalla fortuna maggiore, sendo ancora i cittadini disuniti, la Signoria dubia, i magistrati sbigottiti: talmente che si possono, avanti che si unischino e fermino l'animo, facilmente opprimere: donde o noi rimarreno al tutto principi della città, o ne areno tanta parte che non solamente gli errori passati ci fieno perdonati, ma areno autorità di potergli di nuove ingiurie minacciare. Io confesso questo partito essere audace e pericoloso; ma dove la necessità strigne è l'audacia giudicata prudenza, e del pericolo nelle cose grandi gli uomini animosi non tennono mai conto, perché sempre quelle imprese che con pericolo si cominciono si finiscono con premio, e di uno pericolo mai si uscì sanza pericolo: ancora che io creda, dove si vegga apparecchiare le carcere, i tormenti e le morti, che sia da temere più lo starsi che cercare di assicurarsene; perché nel primo i mali sono certi, e nell'altro dubi. Quante volte ho io udito dolervi della avarizia de' vostri superiori e della ingiustizia de' vostri magistrati! Ora è tempo, non solamente da liberarsi da loro, ma da diventare in tanto loro superiore, ch'eglino abbiano più a dolersi e temere di voi che voi di loro. La opportunità che dalla occasione ci è porta vola, e invano, quando la è fuggita, si cerca poi di ripigliarla. Voi vedete le preparazioni de' vostri avversarii: preoccupiamo i pensieri loro; e quale di noi prima ripiglierà l'armi, sanza dubio sarà vincitore, con rovina del nimico ed esaltazione sua: donde a molti di noi ne risulterà onore, e securità a tutti -. Queste persuasioni accesono forte i già per loro medesimi riscaldati animi al male, tanto che deliberorono prendere le armi, poi ch'eglino avessero più compagni tirati alla voglia loro; e con giuramento si obligorono di soccorrersi, quando accadessi che alcuno di loro fusse dai magistrati oppresso.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





Signoria