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      Né fu questo stato meno ingiurioso verso i suoi cittadini, né meno grave ne' suoi principii, che si fusse stato quello della plebe; perché molti nobili popolani che erano notati defensori di quella furono confinati insieme con gran numero de' capi plebei, intra i quali fu Michele di Lando; né lo salvò dalla rabbia delle parti tanti beni de' quali era stato cagione la sua autorità, quando la sfrenata moltitudine licenziosamente rovinava la città. Fugli per tanto alle sue buone operazioni la sua patria poco grata: nel quale errore perché molte volte i principi e le republiche caggiono, ne nasce che gli uomini, sbigottiti da simili esempli prima che possino sentire la ingratitudine de' principi loro, gli offendono. Questi esili e queste morti, come sempre mai dispiacquono, a messer Benedetto Alberti dispiacevono, e publicamente e privatamente le biasimava; donde i principi dello stato lo temevano, perché lo stimavano uno de' primi amici della plebe e credevono che gli avessi consentito alla morte di messer Giorgio Scali, non perché i modi suoi gli dispiacessero, ma per rimanere solo nel governo. Accrescevono di poi le sue parole e suoi modi il sospetto; il che faceva che tutta la parte che era principe teneva gli occhi volti verso di lui, per pigliare occasione di poterlo opprimere. Vivendosi in questi termini, non furono le cose di fuora molto gravi; per ciò che alcuna ne seguì fu più di spavento che di danno. Perché in questo tempo venne Lodovico d'Angiò in Italia, per rendere il regno di Napoli alla reina Giovanna e cacciarne Carlo di Durazzo.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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