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      E andatone in mezzo di loro, in Piazza, e di quivi salito in Palagio, davanti a' Signori, disse non si poter dolere in alcun modo di essere vivuto in maniera che il popolo di Firenze lo amasse, ma che gli doleva bene che avesse di lui fatto quello giudizio che la sua passata vita non meritava; per ciò che, non avendo mai dati di sé esempli di scandoloso o di ambizioso, non sapeva donde si fusse nato che si credesse che fusse mantenitore degli scandoli come inquieto, o occupatore dello stato come ambizioso. Pregava per tanto loro Signorie che la ignoranzia della moltitudine non fusse a suo peccato imputata, perché, quanto apparteneva a lui, come prima aveva potuto si era rimesso nelle forze loro. Ricordava bene fussero contenti usare la fortuna modestamente, e che bastasse loro più tosto godersi una mezzana vittoria con salute della città, che, per volerla intera, rovinare quella. Fu messer Veri lodato da' Signori, e confortato a fare posare le armi; e che di poi non mancherebbono di fare quello che fussero da lui e dagli altri cittadini consigliati. Tornossi, dopo queste parole, messer Veri in Piazza, e le sue brigate con quelle che da messer Rinaldo e messer Donato erano guidate congiunse. Di poi disse a tutti avere trovato ne' Signori una ottima volontà verso di loro, e che molte cose s'erano parlate, ma, per il tempo breve e per la assenzia de' magistrati, non si erano concluse. Per tanto gli pregava posassero le armi e ubbidissero ai Signori, facendo loro fede che la umanità più che la superbia, i prieghi più che le minacce erano per muovergli, e come e' non mancherebbe loro grado e securtà, se e' si lasciavano governare da lui: tanto che, sotto la sua fede, ciascuno alle sue case fece ritornare.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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