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      Amava ognuno; i buoni lodava, e de' cattivi aveva compassione. Non domandò mai onori, ed ebbeli tutti; non andò mai in Palagio, se non chiamato. Amava la pace, fuggiva la guerra. Alle avversità degli uomini suvveniva, le prosperità aiutava. Era alieno dalle rapine publiche, e del bene commune aumentatore. Ne' magistrati grazioso; non di molta eloquenzia, ma di prudenza grandissima. Mostrava nella presenza melanconico; ma era poi nella conversazione piacevole e faceto. Morì ricchissimo di tesoro, ma più di buona fama e di benivolenza. La cui eredità, così de' beni della fortuna come di quelli dello animo, fu da Cosimo non solamente mantenuta, ma accresciuta.
     
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      Erano i Volterrani stracchi di stare in carcere; e per essere liberi promissono di consentire a quello era comandato loro. Liberati adunque, e tornati a Volterra, venne il tempo che i nuovi loro priori prendevono il magistrato; de' quali fu tratto uno Giusto, uomo plebeo, ma di credito nella plebe, il quale era uno di quelli che fu imprigionato a Firenze. Costui, acceso per se medesimo di odio, per la ingiuria publica e per la privata, contro a' Fiorentini, fu ancora stimolato da Giovanni di uomo nobile e che seco sedeva in magistrato, a dovere muovere il popolo con la autorità de' priori e con la grazia sua, e trarre la terra delle mani de' Fiorentini, e farne sé principe. Per il consiglio del quale, Giusto prese le armi, corse la terra, prese il capitano che vi era pe' Fiorentini, e sé fece, con il consentimento del popolo, signore di quella.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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