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      Queste calunnie, pervenute agli orecchi suoi, mossono lo intero e altiero animo suo più che ad uno grave uomo non si conveniva, e tanto lo perturborono che, sdegnato contro al magistrato e i cittadini, sanza aspettare o domandare licenza, se ne tornò a Firenze. E presentatosi davanti a' Dieci, disse che sapeva bene quanta difficultà e pericolo era servire ad un popolo sciolto e ad una città divisa, perché l'uno ogni romore riempie, l'altra le cattive opere perseguita, le buone non premia e le dubie accusa; tanto che vincendo niuno ti loda, errando ognuno ti condanna, perdendo ognuno ti calunnia, perché la parte amica per invidia, la nimica per odio ti perseguita; non di meno non aveva mai per paura d'un carico vano, lasciato di non fare una opera che facesse uno utile certo alla sua città. Vero era che la disonestà delle presenti calunnie avevano vinta la pazienzia sua, e fattogli mutare natura. Per tanto pregava il magistrato che volesse per lo avvenire essere più pronto a difendere i suoi cittadini, acciò che quegli fussero ancora più pronti a operare bene per la patria; e poi che in Firenze non si usava concedere loro il trionfo, almeno si usasse dai falsi vituperii difenderli; e si ricordassero che ancora loro erano di quella città cittadini, e come ad ogni ora potria essere loro dato qualche carico, per il quale intenderebbono quanta offesa agli uomini interi le false calunnie arrechino. I Dieci, secondo il tempo, s'ingegnorono mitigarlo; e la cura di quella impresa a Neri di Gino e Alamanno Salviati demandarono.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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