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      E tra i primi Genovesi che erano stati cagione di sottometterla a Filippo era stato Francesco Spinula; il quale, non molto poi che gli ebbe fatta la sua patria serva, come in simili casi sempre interviene, diventò sospetto al Duca. Onde che egli, sdegnato, si aveva eletto quasi che uno esilio voluntario a Gaeta; dove trovandosi quando e' seguì la zuffa navale con Alfonso, ed essendosi portato ne' servizi di quella impresa virtuosamente, gli parve avere di nuovo meritato tanto con il Duca, che potessi almeno, in premio de' suoi meriti, stare securamente a Genova. Ma veduto che il Duca seguitava ne' sospetti suoi, perché egli non poteva credere che quello che non aveva amato la libertà della sua patria amasse lui, deliberò di tentare di nuovo la fortuna, e ad uno tratto rendere la libertà alla patria, e a sé la fama e la securtà, giudicando non avere con i suoi cittadini altro rimedio se non fare opera che donde era nata la ferita nascessi la medicina e la salute. E vedendo la indegnazione universale nata contro al Duca per la liberazione del Re, giudicò che il tempo fusse commodo a mandare ad effetto i disegni suoi; e comunicò questo suo consiglio con alquanti i quali sapeva erano della medesima opinione, e gli confortò e dispose a seguirlo.
     
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      Era venuto il celebre giorno di Santo Giovanni Batista, nel quale Arismino, nuovo governatore mandato da il Duca, entrava in Genova; ed essendo già entrato dentro, accompagnato da Opicino vecchio governatore e da molti Genovesi, non parve a Francesco Spinola di differire, e uscì di casa armato insieme con quelli che della sua deliberazione erano consapevoli; e come e' fu sopra alla piazza posta davanti alle sue case, gridò il nome della libertà. Fu cosa mirabile a vedere con quanta prestezza quel popolo e quelli cittadini a questo nome concorressino; tale che niuno il quale, o per sua utilità o per qualunque altra cagione, amasse il Duca, non solamente non ebbe spazio a pigliare le armi, ma appena si potette consigliare della fuga.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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