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      Quanto al conte Francesco, credeva che la nuova amicizia, la speranza del parentado fussero per tenerlo fermo; e per fuggire carico e dare meno cagione a ciascuno di muoversi, massimamente non potendo, per i capituli fatti con il Conte, la Romagna assalire, ordinò che Niccolò Piccino, come se per sua propria ambizione lo facesse, entrasse in quella impresa. Trovavasi Niccolò, quando lo accordo infra il Duca e il Conte si fece, in Romagna; e d'accordo con il Duca, mostrò di essere sdegnato per la amiciza fatta intra lui e il Conte suo perpetuo nimico; e con le sue genti si ridusse a Camurata, luogo intra Furlì e Ravenna, dove si affortificò, come se lungamente, e infino che trovasse nuovo partito, vi volessi dimorare. Ed essendo per tutto sparta di questo suo sdegno la fama, Niccolò fece intendere al Pontefice quanti erano i suoi meriti verso il Duca e quale fusse la ingratitudine sua; e come egli si dava ad intendere, per avere, sotto i duoi primi capitani, quasi tutte l'armi di Italia di occuparla; ma se Sua Santità voleva dei duoi capitani che quello si persuadeva avere poteva fare che l'uno gli sarebbe nimico e l'altro inutile, perché se lo provedeva di danari e lo manteneva in su l'armi, assalirebbe gli stati del Conte che gli occupava alla Chiesa in modo che, avendo il Conte a pensare a' casi propri, non potrebbe alla ambizione di Filippo suvvenire. Credette il Papa a queste parole, parendogli ragionevoli; e mandò cinque mila ducati a Niccolò, e lo riempié di promesse, offerendo stati a lui e a' figliuoli.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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