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      Pose il campo per tanto a Bardolino, castello posto in sul lago, sperando, avuto quello, che gli altri si arrendessero. Fu la fortuna al Conte in questa impresa nimica, perché delle sue genti buona parte ammalorono, talmente che il Conte, lasciata la impresa, ne andò a Zevio, castello veronese, luogo abbondevole e sano. Niccolò, veduto che il Conte si era ritirato, per non mancare alla occasione che gli pareva avere di potersi insignorire del lago, lasciò il campo suo a Vegasio, e con gente eletta n'andò al lago, e con grande impeto e maggiore furia assaltò l'armata viniziana, e quasi tutta la prese. Per questa vittoria poche castella restorono del lago che a Niccolò non si arrendessero. I Viniziani, sbigottiti di questa perdita, e per questo temendo che i Bresciani non si dessero, sollecitavano il Conte con nunzi e con lettere al soccorso di quella. E veduto il Conte come per il lago la speranza del soccorrerla era mancata, e che per la campagna era impossibile per le fosse, bastie e altri impedimenti ordinati da Niccolò, intra i quali entrando con uno esercito nimico allo incontro si andava ad una manifesta perdita, deliberò come la via de' monti gli aveva fatto salvare Verona, così gli facesse soccorrere Brescia. Fatto adunque il Conte questo disegno, partì da Zevio e per Val d'Acri n'andò al lago di Santo Andrea, e venne a Torboli e Peneda in sul lago di Garda. Di quivi n'andò a Tenna, dove pose il campo, perché, a volere passare a Brescia, era lo occupare questo castello necessario.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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