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      Queste cittadelle e questo borgo disegnò Niccolò Piccino di occupare pensando che gli riuscisse facilmente, sì per le negligenti guardie che di continuo vi si facevano, sì per credere che per la nuova vittoria la negligenzia fusse maggiore, e per sapere come nella guerra niuna impresa è tanto riuscibile quanto quella che il nimico non crede che tu possa fare. Fatto adunque una scelta di sua gente, ne andò insieme con il marchese di Mantova, di notte, a Verona, e senza essere sentito, scalò e prese la cittadella nuova. Di quindi, scese le sue genti nella terra, la porta di Santo Antonio ruppono, per la quale tutta la cavalleria intromessono. Quelli che per i Viniziani guardavano la cittadella vecchia, avendo prima sentito il romore quando le guardie della nuova furono morte, di poi quando e' rompevono la porta, cognoscendo come gli erano i nimici, a gridare e a sonare a popolo e all'arme cominciorono. Donde che, risentiti i cittadini, tutti confusi, quelli che ebbono più animo presono l'armi e alla piazza de' rettori corsono. Le genti intanto di Niccolò avevano il borgo di San Zeno saccheggiato, e procedendo più avanti, i cittadini, cognosciuto come dentro erano le genti duchesche, e non veggendo modo a difendersi, confortorono i rettori viniziani a volersi rifuggire nelle fortezze, e salvare le persone loro e la terra; mostrando che gli era meglio conservare loro vivi e quella città ricca ad una migliore fortuna, che volere, per evitare la presente, morire loro e impoverire quella.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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