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      Volle intendere Bartolommeo il fondamento della cosa, e trovò l'ordine del trattato che si teneva con Niccolò. Il che Bartolommeo, per ordine al capitano rivelò; il quale, assicuratosi de' capi della congiura e raddoppiato le guardie alle porte, aspettò, secondo l'ordine dato, che Niccolò venisse; il quale venne di notte e al tempo ordinato; e trovandosi scoperto, se ne ritornò agli alloggiamenti suoi.
     
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      Mentre che queste cose in questa maniera in Toscana si travagliavano, e con poco acquisto per la gente del Duca, in Lombardia non erano quiete, ma con perdita e danno suo. Perché il conte Francesco, come prima lo consentì il tempo, uscì con lo esercito suo in campagna; e perché i Viniziani avevano la loro armata del lago instaurata, volle il Conte, prima che ogni cosa, insignorirsi delle acque, e cacciare il Duca del lago, giudicando, fatto questo, che l'altre cose gli sarieno facile. Assaltò per tanto, con l'armata de' Viniziani, quella del Duca, e la ruppe, e con le genti di terra le castella che al Duca ubbidivano; tanto che l'altre genti ducali, che per terra strignevano Brescia, intesa quella rovina, si allargorono: e così Brescia, dopo tre anni che l'era stata assediata, dallo assedio fu libera. Apresso a questa vittoria, il Conte andò a trovare li nimici che si erano ridotti a Soncino, castello posto in sul fiume dello Ollio, e quelli diloggiò, e li fece ritirare a Cremona; dove il Duca fece testa, e da quella parte i suoi stati difendeva. Ma stringendolo più l'uno dì che l'altro il Conte e dubitando non perdere o tutto o gran parte degli stati suoi, cognobbe la malvagità del partito da lui preso, di mandare Niccolò in Toscana; e per ricorreggere lo errore, scrisse a Niccolò in quali termini si trovava e dove erano condotte le sue imprese: per tanto, il più presto potesse, lasciato la Toscana, se ne tornasse in Lombardia.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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