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      E quello che è più notabile fu che l'altro dì, a mezzo giorno, sanza licenza o rispetto di commissario o di capitano ne andorono ad Arezzo, e quivi lasciata la preda, ad Anghiari ritornorono: cosa tanto contro ad ogni lodevole ordine e militare disciplina, che ogni reliquia di qualunque ordinato esercito arebbe facilmente e meritamente potuto loro torre quella vittoria che gli avieno immeritamente acquistata. Oltra di questo, volendo i commissari che ritenessero gli uomini d'arme presi, per torre occasione al nimico di rifarsi, contro alla volontà loro li liberorono. Cose tutte da maravigliarsi come in uno esercito così fatto fusse tanta virtù che sapesse vincere, e come nello inimico fusse tanta viltà che da sì disordinate genti potesse essere vinto. Nello andare dunque e tornare che feciono le genti fiorentine di Arezzo, Niccolò ebbe tempo a partirsi con le sue genti dal Borgo, e ne andò verso Romagna, con il quale ancora i rebelli fiorentini si fuggirono. I quali, vedutosi mancata ogni speranza di tornare a Firenze, in più parti, in Italia e fuori, secondo la commodità di ciascuno, si divisono. De' quali messer Rinaldo elesse la sua abitazione ad Ancona: e per guadagnarsi la celeste patria, poi che gli aveva perduta la terrestre, se ne andò al sepulcro di Cristo; donde tornato, nel celebrare le nozze d'una sua figliuola sendo a mensa, di subito morì: e fugli in questo la fortuna favorevole, che nel meno infelice giorno del suo esilio lo fece morire. Uomo veramente in ogni fortuna onorato: ma più ancora stato sarebbe, se la natura lo avesse in una città unita fatto nascere; perché molte sue qualità in una città divisa lo offesono, che in una unita l'arebbono premiato.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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