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      Donde che il Conte non poteva più per la fame campeggiare, né, per il pericolo, poteva levarsi; e si vedeva per il Duca una manifesta vittoria, e per i Viniziani e il Conte una espressa rovina. Ma la fortuna, alla quale non manca modo di aiutare gli amici e disfavorire i nimici, fece in Niccolò Piccino, per la speranza di questa vittoria, crescere tanta ambizione e insolenzia che, non avendo rispetto al Duca né a sé, gli mandò a dire come, avendo militato sotto le sue insegne gran tempo, e non avendo ancora acquistata tanta terra che vi si potesse sotterrare dentro, voleva intendere da lui di quali premii avesse a essere per le sue fatiche premiato, perché in sua potestà era farlo signore di Lombardia e porgli tutti i suoi nimici in mano; e parendogli che d'una certa vittoria ne avesse a nascere certo premio, desiderava gli concedesse la città di Piacenza, acciò, stanco di sì lunga milizia, potesse qualche volta riposarsi. Né si vergognò, in ultimo, minacciare il Duca di lasciare la impresa, quando a questa sua domanda non acconsentisse. Questo modo di domandare ingiurioso e insolente offese tanto il Duca e ne prese tanto sdegno, che deliberò più tosto volere perdere la impresa che consentirlo. E quello che tanti pericoli e tanti minacci di nimici non avevono fatto piegare, gli insolenti modi degli amici piegorono: e deliberò fare lo accordo con il Conte; a cui mandò Antonio Guidobuono da Tortona; e per quello gli offerse la figliuola e le condizioni della pace; le quali cose furono avidamente da lui e da tutti i collegati accettate.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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