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      Significorono ancora al Conte la pace fatta co' Milanesi, e gli dierono venti giorni di tempo ad accettarla. Non si maravigliò il Conte del partito preso dai Viniziani, perché molto tempo innanzi lo aveva preveduto, e temeva che ogni giorno potesse accadere; non di meno non potette fare che, venuto il caso, non se ne dolesse e quel dispiacere sentisse che avevano i Milanesi, quando egli gli aveva abbandonati, sentito. Prese tempo dagli ambasciadori, che da Vinegia erano stati mandati a significargli lo accordo, duoi giorni a rispondere; fra il quale tempo deliberò di intrattenere i Viniziani e non abbandonare la impresa. E per ciò publicamente disse di volere accettare la pace, e mandò suoi ambasciadori a Vinegia, con amplo mandato, a ratificarla; ma da parte commisse loro che in alcuno modo non la ratificassero, ma con varie invenzioni e gavillazioni la conclusione differissero. E per fare a' Viniziani più credere che dicessi da vero fece triegua con i Milanesi per uno mese e discostossi da Milano, e divise le sue genti per gli alloggiamenti ne' luoghi che allo intorno aveva occupati. Questo partito fu cagione della vittoria sua e della rovina de' Milanesi, perché i Viniziani, confidando nella pace, furono più lenti alle provisioni della guerra, e i Milanesi, veggendo la tregua fatta, e il nimico discostatosi, e i Viniziani amici crederono al tutto che il Conte fusse per abbandonare la impresa. La quale opinione in duoi modi li offese: l'uno ch'eglino straccurorono gli ordini delle difese loro; l'altro, che nel paese libero dal nimico, perché il tempo della semente era, assai grano seminorono, donde nacque che più tosto il Conte li potette affamare.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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