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      Aveva ancora il Re una armata di circa venti legni, tra galee e fuste, ne' mari di Pisa; e mentre che per terra la Castellina si combatteva, pose questa armata alla rocca di Vada, e quella, per poca diligenzia del castellano occupò, per che i nimici di poi il paese allo intorno molestavano; la quale molestia facilmente si levò via per alcuni soldati che i Fiorentini mandorono a Campiglia, i quali tenevano i nimici stretti alla marina.
     
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      Il Pontefice intra queste guerre non si travagliava, se non in quanto egli credeva potere mettere accordo infra le parti; e benché e' si astenessi dalla guerra di fuori, fu per trovarla più pericolosa in casa. Viveva in quelli tempi un messer Stefano Porcari, cittadino romano, per sangue e per dottrina, ma molto più per eccellenza di animo, nobile. Desiderava costui, secondo il costume degli uomini che appetiscono gloria, o fare, o tentare almeno, qualche cosa degna di memoria; e giudicò non potere tentare altro, che vedere se potesse trarre la patria sua delle mani de' prelati e ridurla nello antico vivere, sperando per questo, quando gli riuscisse, essere chiamato nuovo fondatore e secondo padre di quella città. Facevagli sperare di questa impresa felice fine i malvagi costumi de' prelati e la mala contentezza de' baroni e popolo romano; ma sopra tutto gliene davano speranza quelli versi del Petrarca, nella canzona che comincia: "Spirto gentil che quelle membra reggi", dove dice:
     
      Sopra il monte Tarpeio, canzon, vedraiUn cavalier che Italia tutta onora,


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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