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      Veduto questo, Ferrando ricorse per aiuti al Papa e al Duca; e per avere meno nimici, fece accordo con Gismondo Malatesti. Per la qual cosa si turbò in modo Iacopo Piccinino, per essere di Gismondo naturale nimico, che si parti da' soldi di Ferrando e accostossi a Giovanni. Mandò ancora Ferrando danari a Federigo signore di Urbino, e quanto prima poté, ragunò, secondo quelli tempi, uno buono esercito; e sopra il fiume di Sarni si ridusse a fronte con li nimici, e venuti alla zuffa, fu il re Ferrando rotto, e presi molti importanti suoi capitani. Dopo questa rovina rimase in fede di Ferrando la città di Napoli con alcuni pochi principi e terre: la maggiore parte a Giovanni si dierono. Voleva Iacopo Piccinino che Giovanni con questa vittoria andasse a Napoli e si insignorissi del capo del Regno; ma non volse, dicendo che prima voleva spogliarlo di tutto il dominio e poi assalirlo, pensando che, privo delle sue terre, lo acquisto di Napoli fusse più facile. Il quale partito, preso al contrario, gli tolse la vittoria di quella impresa; perché egli non cognobbe come più facilmente le membra seguono il capo che il capo le membra.
     
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      Erasi rifuggito, dopo la rotta, Ferrando in Napoli, e quivi gli scacciati de' suoi stati riceveva; e con quelli modi più umani poté, ragunò danari insieme, e fece un poco di testa di esercito. Mandò di nuovo per aiuto al Papa e al Duca, e dall'uno e dall'altro fu suvvenuto con maggiore celerità e più copiosamente che per innanzi, perché vivevono con sospetto grande che non perdessi quel regno.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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