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      Ma venuto l'anno '64, Cosimo riaggravò nel male, di qualità che passò di questa vita. Dolfonsi della morte sua gli amici e i nimici; perché quelli che per cagione dello stato non lo amavano, veggendo quale era stata la rapacità de' cittadini vivente lui, la cui reverenza gli faceva meno insopportabili, dubitavano, mancato quello, non essere al tutto rovinati e distrutti; e in Piero suo figliuolo non confidavano molto, perché, non ostante che fusse uomo buono, non di meno giudicavano che, per essere ancora lui infermo e nuovo nello stato, fusse necessitato ad avere loro rispetto, talché quelli, sanza freno in bocca, potessero essere più strabocchevoli nelle rapacità loro. Lasciò per tanto di sé in ciascuno grandissimo desiderio. Fu Cosimo il più reputato e nomato cittadino, di uomo disarmato, che avesse mai, non solamente Firenze, ma alcuna altra città di che si abbia memoria perché, non solamente superò ogni altro de' tempi suoi d'autorità e di ricchezze, ma ancora di liberalità e di prudenza; perché intra tutte le altre qualità che lo feciono principe nella sua patria fu lo essere sopra tutti gli altri uomini liberale e magnifico. Apparve la sua liberalità molto più dopo la sua morte, quando Piero, suo figliuolo, volle le sue sustanze ricognoscere, perché non era cittadino alcuno che avesse nella città alcuna qualità, a chi Cosimo grossa somma di danari non avesse prestata, e molte volte, sanza essere richiesto, quando intendeva la necessità d'uno uomo nobile, lo suvveniva.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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