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      Donde che lasciò tale fondamento a' suoi posteri che poterono con la virtù pareggiarlo e con la fortuna di gran lunga superarlo, e quella autorità che Cosimo ebbe in Firenze, non solo in quella città, ma in tutta la cristianità averla. Non di meno negli ultimi tempi della sua vita sentì gravissimi dispiaceri; perché de' duoi figliuoli che gli ebbe, Piero e Giovanni, questo morì in nel quale egli più confidava, quell'altro era infermo e, per la debilezza del corpo, poco atto alle publiche e alle private faccende. Di modo che, faccendosi portare, dopo la morte del figliuolo, per la casa, disse sospirando: - Questa è troppa gran casa a sì poca famiglia. - Angustiava ancora la grandezza dello animo suo non gli parere di avere accresciuto lo imperio fiorentino d'uno acquisto onorevole; e tanto più se ne doleva, quanto gli pareva essere stato da Francesco Sforza ingannato; il quale, mentre era conte, gli aveva promesso, comunque si fusse insignorito di Milano, di fare la impresa di Lucca per i Fiorentini. Il che non successe, perché quel conte con la fortuna mutò pensiero, e diventato duca, volle godersi quello stato colla pace che si aveva acquistato con la guerra; e per ciò non volle né a Cosimo né ad alcuno altro di alcuna impresa sodisfare; né fece, poi che fu duca, altre guerre che quelle che fu per difendersi necessitato. Il che fu di noia grandissima a Cosimo cagione, parendogli avere durato fatica e speso per fare grande uno uomo ingrato e infedele. Parevagli, oltre a di questo, per la infirmità del corpo, non potere nelle faccende publiche e private porre l'antica diligenza sua; di qualità che l'una e l'altra vedeva rovinare, perché la città era distrutta da' cittadini, e le sustanze da' ministri e da' figliuoli.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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