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      Per tanto lo confortavano a lasciare il Podestà nella sua libertà, e la terra libera dalle sue genti; e sé da quel pericolo con prestezza traessi nel quale con poca prudenza era entrato. Non si sbigottì Bernardo per queste parole, ma deliberò di vedere se la paura moveva i Pratesi, poi che i prieghi non li movevono: e per spaventargli pensò di fare morire Cesare, e tratto quello di prigione, comandò che fusse alle finestre del Palagio appiccato. Era già Cesare propinquo alle finestre, con il capestro al collo, quando ei vide Bernardo che sollecitava la sua morte. Al quale voltosi disse: - Bernardo, tu mi fai morire, credendo essere di poi dai Pratesi seguitato: ed egli ti riuscirà il contrario; perché la reverenzia che questo popolo ha agli rettori che ci manda il popolo di Firenze è tanta che, come ei si vedrà questa ingiuria fattami, ti conciterà tanto odio contro, che ti partorirà la tua rovina. Per tanto non la morte, ma la vita mia puote essere cagione della vittoria tua: perché, se io comanderò loro quello che ti parrà, più facilmente a me che a te ubbidiranno; e seguendo io gli ordini tuoi, ci verrai ad avere la intenzione tua. - Parve a Bernardo, come quello che era scarso di partiti, questo consiglio buono; e gli comandò che, venuto sopra uno verone che risponde in Piazza, comandasse al popolo che lo ubbidisse. La quale cosa fatta che Cesare ebbe, fu riposto in prigione.
     
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      Era già la debolezza de' congiurati scoperta; e molti Fiorentini che abitavano la terra erano convenuti insieme, intra i quali era messer Giorgio Ginori, cavaliere di Rodi.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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