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      Deliberatisi adunque a questa impresa, si trovavano spesso insieme; di che l'antica familiarità non dava alcuna ammirazione: ragionavano sempre di questa cosa, e per fermare più l'animo al fatto, con le guaine di quelli ferri ch'eglino avieno a quella opera destinati, ne' fianchi e nel petto l'uno l'altro percotevono. Ragionorono del tempo e del loco: in Castello non pareva loro securo; a caccia, incerto e pericoloso; ne' tempi che quello per la terra giva a spasso, difficile e non riuscibile; ne' conviti, dubio. Per tanto deliberarono in qualche pompa e publica festivitate opprimerlo, dove fussero certi che venisse, ed eglino, sotto varii colori, vi potessero loro amici ragunare. Conclusono ancora che, sendo alcuno di loro per qualunque cagione dalla corte ritenuti, gli altri dovessero, per il mezzo del ferro e de' nimici armati, ammazzarlo.
     
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      Correva l'anno 1476, ed era propinqua la festività del Natale di Cristo; e perché il Principe, il giorno di Santo Stefano, soleva con pompa grande vicitare il tempio di quello martire, deliberorono che quello fusse il luogo e il tempo commodo ad esequire il pensiero loro. Venuta adunqua la mattina di quel santo, feciono armare alcuni de' loro più fidati amici e servidori, dicendo volere andare in aiuto di Giovannandrea, il quale contro alla voglia di alcuni suoi emuli voleva condurre nelle sue possessioni uno aquedutto; e quelli così armati al tempio condussono, allegando volere, avanti partissero, prendere licenza dal Principe.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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