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      Partito per tanto da Rodi, parte della sua armata, sotto Iacometto bascià, se ne venne verso la Velona; e o che quello vedesse la facilità della impresa, o che pure il signore gliele comandasse, nel costeggiare la Italia pose, in un tratto, quattro mila soldati in terra; e assaltata la città di Otranto, subito la prese e saccheggiò; e tutti gli abitatori di quella ammazzò. Di poi, con quelli modi gli occorsono migliori, e dentro in quella e nel porto si affortificò; e riduttovi buona cavalleria, il paese circunstante correva e predava. Veduto il Re questo assalto, e conosciuto di quanto principe ella fusse impresa, mandò per tutto nunzi a significarlo, e a domandare contro al comune nimico aiuti e con grande instanzia revocò il duca di Calavria e le sue genti che erano a Siena.
     
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      Questo assalto, quanto egli perturbò il Duca e il resto di Italia, tanto rallegrò Firenze e Siena, parendo a questa di avere riavuta la sua libertà, e a quella di essere uscita di quelli pericoli che gli facieno temere di perderla. La quale opinione accrebbono le doglienze che il Duca fece nel partire da Siena, accusando la fortuna, che, con uno insperato e non ragionevole accidente, gli aveva tolto lo imperio di Toscana. Questo medesimo caso fece al Papa mutare consiglio; e dove prima non aveva mai voluto ascoltare alcuno oratore fiorentino, diventò in tanto più mite che gli udiva qualunque della universale pace gli ragionava: tanto che i Fiorentini furono certificati che, quando s'inclinassero a domandare perdono al Papa, che lo troverebbono.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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