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      Non parve adunque di lasciare passare questa occasione; e mandorono al Pontefice dodici ambasciadori; i quali, poi che furono arrivati a Roma, il Papa, con diverse pratiche, prima che desse loro audienza gli intrattenne. Pure, alla fine, si fermò intra le parti come per lo avvenire si avesse a vivere, e quanto nella pace e quanto nella guerra per ciascuna di esse a contribuire. Vennono di poi gli ambasciadori a' piedi del Pontefice, il quale, in mezzo dei suoi cardinali, con eccessiva pompa gli aspettava. Escusorono costoro le cose seguite, ora accusandone la necessità, ora la malignità d'altri, ora il furore popolare e la giusta ira sua; e come quelli sono infelici, che sono forzati o combattere o morire. E perché ogni cosa si doveva sopportare per fuggire la morte, avevono sopportato la guerra, gli interdetti, e le altre incommodità che si erano tirate dietro le passate cose, perché la loro republica fuggisse la servitù, la quale, suole essere la morte delle città libere. Non di meno, se, ancora che forzati, avessero commesso alcuno fallo, erano per tornare a menda; e confidavano nella clemenza sua, la quale, ad esemplo del Sommo Redentore, sarà per riceverli nelle sue pietosissime braccia. Alle quali scuse il Papa rispose con parole piene di superbia e di ira, rimproverando loro tutto quello che ne' passati tempi avevono contro alla Chiesa commesso: non di meno, per conservare i precetti di Dio, era contento concedere loro quel perdono che domandavano; ma che faceva loro intendere come eglino avieno ad ubbidire; e quando eglino rompessero l'ubbidienza, quella libertà che sono stati per perdere ora, e' perderebbono poi, e giustamente; perché coloro sono meritamente liberi, che nelle buone, non nelle cattive opere si esercitano; perché la libertà male usata offende se stessa e altri; e potere stimare poco Iddio e meno la Chiesa non è oficio di uomo libero, ma di sciolto e più al male che al bene inclinato; la cui correzione non solo a' principi, ma a qualunque cristiano appartiene.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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