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      Noi c'interrogammo con occhiate significative, provando compassione del suo stato, mentre Pelacane, in attitudine compunta e atterrita, ci costringeva a frenare a stento le risa. Ma il vecchio, scuotendosi, proseguì:
      - Caterina?... Ca-te-ri-na ?... - ripetei con un fil di voce.
      Ahi, come le sue fattezze erano cambiate! Chi la riconosceva più? Non era neppure quella che, pochi momenti prima compariva sul fienile e nella stalla. Che figura, buon Dio! Uno scheletro animato, avvolto in un lenzuolo; una cosa orribile. Le sue ossa, stecchite come una mummia; ma i capelli intatti, i suoi bei capelli d'una volta, e giù lungo le spalle: affilato il naso, le mani ossute, scarne, e - vedete un po’! - la bocca con tutti i suoi denti, proprio come in vita. Dentro le occhiaie, nelle buie occhiaie, la pupilla nera nera brillava fissa sopra di me, pareva volesse divorarmi.
      Quegli istanti mi parvero un secolo.
      Ella si fece avanti alcuni passi, ripetendo il cenno di avvicinarmi, corrucciata dalla mia immobilità; e io, come sotto una cappa di piombo, ebbi appena la forza di balbettare:
      - Caterina!...
      L'ombra si appressò scivolando, e venne a fermarsi a poca distanza. Allora tentai di parlare; ma un grosso nodo mi strinse la gola e un affanno crescente mi toglieva il respiro. E nondimeno - quale frenesia! - provavo una voglia matta d'abbracciarla, e mi sentivo come attrarre verso di lei.... La guardai fissamente; ma quelle sue occhiaie, quei suoi denti mi fecero tanto ribrezzo.... «Non è lei... esclamai, - non è lei!


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





Pelacane Dio