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      Tremava a verga a verga, non aveva nè forza di volgersi ai compagni, nè di mandar un grido, quantunque ne sentisse dall'alto le voci, che chiamandolo a nome e distinguendone la persona, gl'infondevano coraggio.
      Tratti di tasca i fiammiferi, accese un candelotto, di cui s'era provvisto, curioso di conoscere il temporaneo suo carcere. Poco distante sull'umido fogliame, scorse un grosso ramarro intirizzito, e gli parve che la circonferenza della voragine non oltrepassasse i dieci metri. Con gran meraviglia, sollevato il lume, vide dinanzi a sè, fra tramontana e levante, una grande apertura, una specie, com'egli dice, di grotta ornata di qualche stalattite, alta circa dieci metri, lunga forse quindici, il cui suolo era intieramente cosparso di umida e tersa sabbia. Osservò senz'osare di avventurarvisi, chè la paura dell'ignoto lo assaliva sempre più, e imagini fosche gli passavano per la mente. Si sentiva assiderato ed oppresso; il desiderio di salire si rendeva vivissimo. Una mezz'ora di fermata in quel sepolcro secolare, gli pareva già un indugio incalcolabile.
      Intanto che dall'alto e dal basso si facevano domande e risposte, il giovane Ambrogio Vigliano, preso dalla curiosità e dal desiderio, e volendo recar aiuto all'amico, afferrò la corda e prese anche lui a far la discesa, allontanandosi di alcuni metri dalla bocca. Quando il Canavese lo vide librarsi penzoloni, cominciò a dissuaderlo con gran voce e insistenza; e i compagni, che non erano riusciti a trattenerlo, a richiamarlo con grida.


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





Ambrogio Vigliano Canavese