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      Siamo sul Giovo, nei prati della Beccàira; il buon umore si converte in baccano, e con compiacimento scambievole si fa una sosta. All'orologio son passate le dieci. Io scendo dal mio buricco per isgranchire le gambe. Alcuni si sdraiano sulla molle erbetta, altri corre alla fonte vicina per dissetarsi, alcuni s'adagiano all'ombra di un solitario faggio. Soli, il Tappo e lo Zunino continuano il cammino co’ due somarelli.
      - Il Buranco è lassù! - gridano varie voci - lassù, dinanzi a noi, tra il folto del bosco.
      - Ancora una buona mezz'ora, e ci siano. Ed ecco un compagno farsi avanti gridando:
      - L'ho presa! L'ho presa! L'ho presa!
      - Che cosa hai preso?
      Ei stringeva delicatamente fra l'indice e il pollice un lucustile, locusta o cavalletta, di quel gruppo di insetti o specie verde comunissima nei nostri paesi, le cui abitudini son quelle stesse degli altri ortotteteri erbivori, che vivono nelle praterie e nei campi divorando foglie ed erbe; e nel presentare, alzando la mano, l'animaluccio, gli diceva in tono canzonatorio nel dialetto locale:
      «Pappaluva, pappaluva, mòstreme a via de Zuvo, se dunca a t'amazzu?»
      L'insetto agitò vivamente le zampine anteriori; e quegli:
      «A me l'ha mostrà! - gridò trionfalmente(61).
      - Via, burlone che sei, usa pietà alla povera locusta e làsciala andare.
      - Non volete altro? Eccola in libertà.
      La pappaluva scomparve tra le fronde dell'albero, e l'amico proseguì:
      - Tutti sanno le vicende della Lupa del Buranco; ma nessuno conosce la sua fine; una trasformazione finale.


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





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