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      Un suo zio, frate della Salute a Bologna, buon architetto, autore appunto del campanile della Salute, si era cacciato in testa di scoprir qualche cosa, e siccome Dio aiuta la gente di buona volontà, un bel giorno avea scopertoEl gentilizio
      Stema de un bo,
      Anzi de un bufaloCoi corni in zo,
      Che stava intrepidoSora do zate.(2)
      Ecco dunque in che cosa consisteva questo blasone. I galletti arrosto ne ridevano, ma non già il fumoso Petronio, il quale si credeva diventato un ente soprannaturale, credeva di poter trattare da pari a pari coi più illustri patrizi, di frequentare liberamente i loro crocchi, di veder spalancarsi al solo suo nome tutti gli usci. Infatti, meno qualche piccola disillusione, il suo amor proprio fu pago, e condusse gioconda e brillante la gioventù, persuaso - poveretto! - che fosse proprio la testa di bufalo che operasse tanti prodigi.
      È strano però che con queste idee di ricchezza, finisse poi con lo sposare una donna miserabile a dirittura, certa Vittoria Vanuregarden, oriunda olandese, la quale aveva un fratello che sarebbe morto di fame all’ospedale se gli fosse mancato un pronto soccorso. Da questo matrimonio nacquero parecchi figli, uno più originale dell’altro; e il 13 ottobre 1772 nacquero insieme un maschio ed una femmina, che il cielo serbava a non volgari vicende. Infatti il maschio era quel Pietro Buratti che strappò di mano al Gritti la palma del Parnaso veneziano, e che è il tema del presente studio; la femmina, di cui non giova conoscere il nome, vittima di precoci amori, fuggì in terra straniera, dove, abbandonata, scontò con tarde lacrime l’irreparabile fallo.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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