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      Sovente i suoi genitori andavano in conversazione dalla procuratessa Mocenigo, donna di famosa bellezza, maritata ad un uomo celebre per i suoi vizî e per una testa leonina che metteva paura, e qualche volta lo conducevano seco. Quest’amabile signora abitava un casino sotto le procuratie, e perchè il ragazzo non si annoiasse, o per discorrere con più libertà, lo faceva accostare ad una finestra che dava sulla Piazza di San Marco, dove sorrideva eterno il carnovale, dove le donne galanti e i Don Giovanni si davano convegno, dov’era perpetuo il libero scambio della merce umana. Forse fu da quella finestra che nel Buratti i vivi germogli delle passioni ricevettero il loro primo alimento.
      A scuola non andò mai. Il suo primo maestro di lettere fu un gesuita, certo Bagozzi, che si faceva mantenere in casa sua col pretesto di curare l’anima della signora Vittoria, anzi cacciava il naso nelle cose domestiche, e parea nato apposta per distendere la nota del lavandaio. Del resto «non digiuno di qualche buon gusto in poesia» ne inspirò il genio al nostro Pierino, e seppe anche destargli «un certo amor proprio con esperimenti accademici che si davano ogni anno alla presenza di molte persone».(6)
      II.
      Il Buratti fattorino nello studio paterno - Sua rabbia e sfogo poetico - Si vendica dandosi in braccio ai piaceri - Fa una satira contro i tardi amori del padre - Il suo ingegno si rivela - Il Negri gli indirizza un’epistola - Galanterie - Conegliano guarisce le piaghe amorose - Altre avventure - La filosofia d’un marito - Imprudenza del Buratti - Debolezza del suo carattere.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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