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      - di settantamila franchi».(17)
      Oh se lo avessero lasciato studiare! Un figliuolo non è una pallottola di cera a cui si dà la forma che meglio talenta; bisogna favorirne la vocazione, la quale o tosto o tardi si manifesta in tutti, e non certo per essere trascurata; oppure bisogna subirne le conseguenze. Pietro aveva un’indole debolissima, facile a cedere a qualunque sentimento, buono o cattivo, che gli si presentasse dinanzi sotto affascinanti parvenze, e altrettanto facile magari a pentirsene poco dopo; ma il suo animo, in fondo, era mite e non privo di gentilezza. Se mite non fosse stato, lui ricco, di aspetto leggiadro, pieno di galanti avventure, avrebbe forse prestata al padre - a un tanto padre! - volontaria obbedienza fino ai trent’anni?
      I suoi primi versi nacquero quasi improvvisi fra comici e ballerine e falsi amici e scrocconi: ma appena fatti li lacerava come inutili cose. In quel tempo gli era indifferente adoperare la lingua o il dialetto; non fu che molto dopo, quando il demonio della poesia lo assalse davvero e lo costrinse a scegliere fra l’una e l’altro, che preferì il dialetto, senza per altro abbondonare del tutto la lingua. Ma conosceva di essere scarso di studi, e Dio sa quante volte avrà maledetto il destino, che avea tarpate così bruscamente le ali del suo bellissimo ingegno. Egli stesso racconta che il primo sonetto satirico veneziano che gli sia uscito dalla penna, fu contro un vecchio francese impiegato nel banco paterno, il qual vecchio si era permesso di criticare certi suoi versi.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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