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      Posso un omo deventar.
      Passò la vita rinnovando ogni tanto il proponimento medesimo, e morì senz’averlo mai messo in pratica.
      III.
      La caduta di Venezia - Pagina bianca - Il Buratti manda al diavolo il commercio - L’autore fa un salto - La famiglia del poeta si stabilisce a Bologna - Egli rimane a Venezia - Il Casino dei Cento - Il Senato di Florian - La Corte dei Busoni - Com’era costituita, e come il Buratti fu nominato Gran Piavoloto - Un tartaglia maraviglioso - Dispute fra poeti, l’Alta Corte di Giustizia e lo Sciampagna - Le satire del Buratti e la divina Provvidenza - La sua parrucca ed un poema satirico - Presentazione d’un maldicente - Amicizia sua col Buratti - I pranzi di Tommaso Mocenigo Soranzo e di Giovanni Papadopoli - Aneddoti - Il Teatro - Studi curiosi.
      Frattanto si compiva il più grande avvenimento della storia moderna italiana: Venezia chiudeva undici secoli di glorioso dominio. Mortale come tutte le cose umane, e ormai fatta decrepita, niuno sapeva dissimulare la prossima fine di lei, ma niuno potea imaginarla così repentina e vergognosa, così degenere dalle sue tradizioni. Eppure le tradizioni medesime parlarono pietosamente al cuore de’ suoi figli, i quali fra il costume corrotto e l’universale depravazione, quasi a conforto e scusa, additavano al mondo con legittimo vanto due glorie degne di secolo migliore che la dolce patria lasciava dietro a sè nel suo pallido tramonto: Emo e Canova. Ella moriva come i proscritti di Francia: gittando a la folla un bon mot.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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