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      Chi, sorprendendo così dolci atti, non sarebbe stato assalito da un sentimento d’invidia? Due soli poeti, ch’io sappia, due satirici nell’esercizio delle loro funzioni: il Buratti e l’Ancillo. Nè sospiro di donna, nè bacio di fanciulla avrebbero in quei momenti agghiacciato sul loro labbro il ghigno di Mefistofele. Sedevano l’uno vicino all’altro nella prima fila di poltroncine onde stabilire facilmente un prosaico telegrafo con le vecchie conoscenze del palcoscenico, e dominare negl’intermezzi il pubblico dei palchi e della platea. Indivisibili come il loro occhialino d’oro, il Buratti però aveva un’aria da collegiale presso all’Ancillo, che in fatto di lingua lunga e di polizia secreta era senza rivali. Metà della serata il Buratti non facea che interrogare, l’Ancillo che rispondere.
      - Chi è quella vecchia signora con quella biancovestita fanciulla, bruna come la notte?
      - La vecchia non è una signora, nè la fanciulla una fanciulla...
      E seguivano le informazioni.
      - Vedi là quella bionda bellezza in palco numero tale?
      - La devi conoscere. Non è bionda che quando viene a teatro...
      E quì le relative notizie.
      Talora l’Ancillo girava a far qualche visita, e il Buratti rimaneva solo al suo posto. Poniamo che durante una di queste assenze un palchetto d’innanzi, rimasto fino allora vuoto, si popolasse come per incanto di due provocanti figurine, che paressero scappate da un quadro di Tiziano, la toilette a parte. Agitazione grandissima nei giovani della platea. Mille binoccoli si armavano della lente.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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