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      Indi queste passioni si collegarono, e quale in un modo, quale nell’altro, gettarono l’anatema sul rivelatore tremendo della loro misteriosa viltà. E non con maraviglia d’alcuno, perchè tanta fu in lui la vista dell’intendimento nel ravvisare addentro ai più riposti avvolgimenti del cuore umano, tanta la profonda filosofia con la quale separava il vero dal finto, l’effetto appariscente dalla ben diversa occulta ragione, tanta la proprietà, la forza, l’irresistibile veemenza delle sue parole, che le ferite del Buratti erano tutte mortali.»
      Milano ha innalzato al Porta un monumento. Nel 1847 Venezia trasformava in Panteon cittadino la galleria del Palazzo dei Dogi, e quivi in trent’anni sorsero simulacri di letterati, d’artisti, di guerrieri e d’uomini di stato, decoro nostro e d’Italia, ma di poeti in dialetto nessuno, che sono glorie intime, esclusivamente paesane, e ne avemmo tanti e bellissimi.
      Siccome i poeti in dialetto incarnano il popolo, io temo sempre che i forastieri, visitando il nostro Panteon non dicano che al popolo veneziano manca la dignità, e soggiungano che trascurare le glorie domestiche, non onorare i proprî Penati, sia indizio d’indolenza ignobile, o di decadimento morale ed intellettuale. Certamente è indizio funesto, perchè annunzia forse la morte del più dolce fra i dialetti d’Italia.
      INDICEI.
      Pantalone ed Antonio Buratti - Petronio e le sue vanità - Nascita di Pietro - Bigotteria della madre - Gioca all’altarino e risponde messa - Pietà di Francesco Negri - Il Casino della procuratessa Mocenigo - Impara a verseggiare da un gesuita.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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