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      V. Epistola. - Finge l’autore il suo passaggio all’altro mondo. Descrive le colpe dei dannati all’inferno, ma per quanto abbia cercato non vi trovò Buratti, ossia il temuto defunto, come lo epiteta in uno dei suoi versi. Riavuto però dal sogno, in questo modo prosegue l’epistola:
      . . . . . . . . Pietro Buratti
      Nell’inferno non trova, e questo è assai;
      Perchè dato che a morte, e non concesso,
      Già pagato Buratti abbia lo scotto,
      Secondo che più o men grazia lo colse,
      O sarà tra color che son contentiNel foco che li purga e a Dio li mena,
      O tra lor che ormai sono a Dio congiunti.
      VI. Epistola. - Continua la finzione del rinvenimento di Pietro Buratti, e con ironico stile egli ne pinge il merito. Più notabili sono i versi segnati con tratti rossi al margine dell’Epistola, e certamente tuttociò che ne dice l’autore è pieno zeppo di frizzi e di morsi satirici.
      Terminano qui le Epistole al V. Segretario Martelli, e cominciano alla settima quelle indiritte allo stesso Buratti.
      VII. Epistola. - Sembra che Buratti siasi doluto dell’Autore per l’Epistole scritte al Martelli sul sogno della sua morte, ma nel cercar di placarlo rinnova il biasimo quando dice
      . . . . . . .Cessa. Sull’are
      Della tua fiera Deità stivateSono ormai tante vittime, che al sole
      Fan da più lustri maraviglia ed ombra.
      A che nuove ecatombe? Oh Pier Buratti!
      Cinto il flavo tuo crin di tanto alloroQuanto abete non hanno Alpe e Pirene,
      Sia col tuo spirto pace, e me dall’altoDella tua gloria, nel profondo immerso
      Cupo di Lete oblìo, guarda e sorridi.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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