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      Se si fa istitutore, esso inceppa la propagazione del vero, e tende a preparare la mente ed il cuore dei giovani, perché diventino o tiranni implacabili, o docili schiavi, secondo la classe a cui appartengono. Tutto nelle mani del governo diventa mezzo per sfruttare, tutto diventa istituzione di polizia, utile per tenere il popolo a freno.
      E doveva esser così. Se la vita degli uomini è lotta tra uomini, vi sono naturalmente vincitori e perdenti, ed il governo che è il premio della lotta, ed un mezzo per assicurare ai vincitori i risultati della vittoria e perpetuarli, non andrà certo mai in mano a coloro che avranno perduto, sia che la lotta avvenga sul terreno della forza fisica o intellettuale, sia che avvenga sul terreno economico. E coloro i quali hanno lottato per vincere, cioè per assicurarsi condizioni migliori degli altri, per conquistare privilegi e dominio, non se ne serviranno certo per difendere i diritti dei vinti, ed imporre dei limiti all’arbitrio proprio ed a quello dei loro amici e partigiani.
      Il governo, o, come dicono, lo Stato giustiziere, moderatore della lotta sociale, amministratore imparziale degli interessi del pubblico, è una menzogna, è un’illusione, un’utopia, mai realizzata e mai realizzabile.
      Se davvero gl’interessi degli uomini dovessero essere contrarii gli uni agli altri, se davvero la lotta fra gli uomini fosse legge necessaria delle società umane e la libertà di uno dovesse trovare un limite nella libertà degli altri, allora ciascuno cercherebbe sempre di far trionfare gli interessi proprii su quelli degli altri, ciascuno tenterebbe di allargare la propria libertà a scapito della libertà altrui, e si avrebbe un governo, non già perché sia più o meno utile alla totalità dei membri di una società averne uno, ma perché i vincenti vorrebbero assicurarsi i frutti della vittoria, sottoponendo solidamente i vinti, e liberarsi dal fastidio di star continuamente sulla difesa, incaricando di difenderli degli uomini, specialmente addestrati al mestiere di gendarmi.


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L'anarchia
di Errico Malatesta
pagine 75

   





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