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      Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere, ed in vario modo sottoporre ed opprimere i vinti.
      Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di più di quello che bastava strettamente al suo mantenimento, i vincitori non potevano che fugare o massacrare i vinti ed impossessarsi degli alimenti da essi raccolti.
      Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura un uomo potette produrre più di ciò che gli occorreva per vivere, i vincitori trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù e farli lavorare per loro.
      Più tardi, i vincitori si avvisarono che era più comodo, più produttivo e più sicuro sfruttare il lavoro altrui con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà esclusiva della terra e di tutti i mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli spogliati, i quali poi, non avendo mezzi di vivere, erano costretti a ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi volevano.
      Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di ogni specie, invasioni, guerre, ribellioni, repressioni, concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la difesa, e di vincitori unitisi per l'offesa, si è giunti allo stato attuale della società, in cui alcuni detengono ereditariamente la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la grande massa degli uomini, diseredata di tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi proprietari.
      Da questo dipende lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, e tutti i mali che dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione, deperimento fisico, abbiezione morale, morte prematura.


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L'anarchia
di Errico Malatesta
pagine 75