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      Naturalmente sorsero in abbondanza i patrioti dell’indomani che vollero prender parte al bottino, senza essere stati alla battaglia; ed anche molti dei vecchi combattenti, per motivi vari, onorevoli o meno, si adattarono al nuovo regime e cercarono di profittarne. Ma i più sinceri, i più ardenti e con essi i nuovi giovani che per ragioni di età non avevano potuto prender parte alla riscossa nazionale, ma n’avevano respirata l’atmosfera piena di entusiasmo e volevano emulare i loro maggiori, rodevano il freno ed anelavano il momento di ricominciare la rivoluzione e di completarla.
      Ma cosa fare?
      I più influenti, i capi, esitavano tra il desiderio di abbattere la monarchia e la paura di compromettere quel tanto di unità e di indipendenza che si era raggiunto. La gran maggioranza dei repubblicani devoti a Mazzini, pur predicando la repubblica, mettevano al disopra di tutto l’unità della patria, e nonostante l’avversione al sistema monarchico erano sempre pronti a mettersi agli ordini del re quando egli li avesse chiamati a compiere il programma nazionale. Ed in quanto ai garibaldini, più di tutti ardimentosi e battaglieri ma, al pari del loro duce, senza idee chiare e programma determinato, salvo l’odio ai preti ed al dominio straniero, la monarchia poteva sempre a sua posta fermarli o trascinarli, come e più dei mazziniani, col solo darsi l’aria di voler fare la guerra all’Austria o al papa.
      In realtà non si faceva nulla contro il regime, e forse date le circostanze era possibile fare qualche cosa d’efficace; ma fra le aspirazioni contraddittorie persisteva, vivo, insofferente, tormentoso il desiderio di fare.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





Mazzini Austria