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      Certamente sperare allora nella vittoria era una illusione.
      Senza parlare delle vaste plaghe d’Italia dove le nostre idee erano assolutamente sconosciute, anche dove eravamo più forti e numerosi non eravamo in sostanza che un’infima minoranza di fronte alla totalità della popolazione. E le masse erano ancora del tutto disorganizzate ed ignare: salvo le nostre sezioni e qualche associazione che pigliava il motto da Mazzini, le società operaie esistente erano semplici società di mutuo soccorso sotto il patronato di grossi proprietari o personaggi dei partiti borghesi, quando non avevano addirittura il re... o il questore.
      Questa era per noi una situazione paradossale, perchè il nostro scopo non era di impossessarsi del governo con un colpo di mano (il che sarebbe stato ben difficile per l’esiguità delle nostre forze, ma forse non impossibile se fossimo riusciti a trascinare con noi i repubblicani) per poi imporre il nostro programma mediante la forza statale. Noi, già anarchici convinti, volevamo abbattere il governo esistente, impedire che se ne formasse un altro, e lasciare che le masse liberate dalla pressione dell’esercito e della polizia pigliassero possesso della ricchezza ed organizzassero da loro la nuova vita sociale.
      Ma che sarebbe avvenuto se le masse fossero restate assenti, o si fossero mostrate ansiose di sottomettersi ad un nuovo governo ed attendere da esso il proprio bene?
      Noi speravamo nel malcontento generale, e poichè la miseria che affliggeva le masse era davvero insopportabile, credevamo che bastasse dare un esempio, lanciare colle armi alla mano il grido di “abbasso i signori”, perchè le masse lavoratrici si scagliassero contro la borghesia, e pigliassero possesso della terra, delle fabbriche e di quanto esse avevano prodotto colle loro fatiche ed era stato loro sottratto.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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