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      Poi, come Costa in Italia, i Guesde, i Massard, i Deville e più tardi lo stesso Brousse, furono presi dalla fregola del potere, e forse anche dalla voglia di conciliare la nomea di rivoluzionari con il quieto vivere ed i vantaggi piccoli e grandi che provengono a chi entra nella politica ufficiale, sia pure come oppositore. Ed allora cominciò tutta una manovra per cambiare l’indirizzo del movimento, ed indurre i compagni ad accettare la tattica elettorale. Molto servì anche allora la nota sentimentale: si voleva l’amnistia per i comunardi, bisognava liberare il vecchio Blanqui che moriva in prigione. E con questi cento pretesti, cento espedienti per vincere la ripugnanza che essi stessi, i transfughi, avevano contribuito a far nascere nei lavoratori contro l’elezionismo, e che d’altronde era alimentata dal ricordo ancora vivo dei plebisciti napoleonici e dei massacri perpetrati in giugno 1848 ed in maggio 1871 per il volere delle assemblee uscite dal suffragio universale. Si disse che bisognava votare per contarsi, ma che si voterebbe per gli ineleggibili, per i condannati, o per le donne o per i morti; altri propose di votare schede bianche o con un motto rivoluzionario; altri voleva che i candidati rilasciassero nelle mani dei comitati elettorali delle lettere di dimissione per il caso che fossero eletti. Poi quando la pera fu matura, cioè quando la gente si lasciò persuadere ad andare a votare, si volle essere candidati e deputati sul serio: si lasciarono i condannati marcire in prigione, si rinnegò l’antiparlamentarismo, si disse peste dell’anarchismo; e Guesde attraverso cento palinodie finì ministro del governo dell’"unione sacra", Deville divenne ambasciatore della repubblica borghese, e Massard, credo, qualche cosa di peggio.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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