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      Lo sciopero prendeva ogni giorno più il carattere di insurrezione, e già dei proclami dicevano chiaramente che non si trattava più di sciopero e che bisognava riorganizzare sopra nuove basi la vita cittadina.
      Intanto il movimento si era propagato con rapidità fulminea nelle Marche e nelle Romagne e già si estendeva in Toscana ed in Lombardia. Lo stato d’animo dei lavoratori era propizio ad un cambiamento di regime. L’accordo tra i partiti rivoluzionari s’era fatto da sè, e, malgrado che i Pirolini e i Chiesa e i Pacetti correvano in automobile per deprecare il movimento, i lavoratori repubblicani lottavano in bell’armonia cogli anarchici e con la parte rivoluzionaria dei socialisti.
      Si stava per passare agli atti risolutivi. Lo sciopero a tendenza insurrezionale si estendeva. I ferrovieri si apprestavano a prendere in mano la direzione del servizio per impedire le dislocazioni di truppe e non far viaggiare che i treni utili per il movimento insurrezionale. La rivoluzione stava per farsi, per impulso spontaneo delle popolazioni, e con grandi probabilità di successo.
      Certamente non si sarebbe in quel momento attuata l’anarchia e nemmeno il socialismo, ma si sarebbero levato di mezzo molti ostacoli e si sarebbe aperto il periodo di libera propaganda, di libera esperimentazione, e sia pure di lotte civili, in capo al quale noi vediamo rifulgere il trionfo del nostro ideale.
      Ma tutto ad un tratto, quando maggiori erano le speranze, la direzione della Confederazione generale del lavoro con telegramma circolare dichiara finito il movimento ed ordina la cessazione dello sciopero.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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