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      Ma a che servirebbe rivoluzionare in tal modo il dizionario? Evidentemente ad intenderci meno che mai.
      E perchè il Pardaillan, il quale vorrebbe che gli anarchici costituissero una forza capace d’influire potentemente sul corso degli eventi, non esita a porsi in contrasto con la massa degli anarchici e creare nuovi ragioni di scissione e quindi di debolezze per la fisima di chiamare governo quello che non sarebbe governo?
      Egli ragiona così: Il popolo è abituato ad essere governato ed ubbidisce al governo qualunque esso sia; può in certi momenti abbattere un dato governo, ma lo fa con l’idea di vederlo sostituito da un governo migliore. Chi è più svelto ad occupare il posto lasciato vuoto dal governo caduto e dire il governo sono io è subito riconosciuto ed ubbidito. Facciamo in modo d’essere noi i primi a dire il governo siamo noi e potremo fare non l’anarchia, ma quel tanto di bene che si potrà, ed intanto toglieremo ai politicanti la possibilità di sfruttare la situazione.
      Mi perdoni il compagno Pardaillan, se glielo dico un po’ ruvidamente: il suo ragionamento ed il suo proposito mi sembrano tanto ingenui da raggiungere quasi l’infantilità, poichè certamente non sarebbe cosa seria il dirsi governo e non fare quello che deve fare un governo e che la gente aspetta da esso, cioè dare degli ordini e farli eseguire per mezzo della polizia, dell’esercito, dei magistrati e dei carcerieri.
      Pardaillan dice che ha l’impressione (non so da dove ricavata) che io, accettando la proposta di dare un significato libertario alla parola governo per servircene noi a modo nostro, sia già disposto a cercare insieme a loro (i revisionisti) il modo migliore per impedire a questo governo di diventare quello che assolutamente non deve essere.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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