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      Il proletariato catalano, secondo l’idea che me ne feci nelle due volte che sono stato in quei paesi, è il proletariato più cosciente, più serio, più avanzato che vi sia nel mondo. Metto quindi in lui le più grandi speranze; ma mi pare che se in Catalogna si può fare più facilmente che altrove una radicale rivoluzione politica, vi sono invece maggiori difficoltà per raggiungere l’emancipazione economica, senza la quale le libertà politiche finiscono col non contar nulla e sparire. E credo che la difficoltà viene proprio dal grande sviluppo industriale del paese.
      A causa dell’industria la massa degli operai catalani si trova legata alla borghesia da una certa solidarietà d’interessi. Se cessa l’esportazione, se si disorganizza il commercio (e ciò non potrebbe non avvenire in caso di rivoluzione economica) l’operaio della città catalana resta senza lavoro e non mangia. Quindi una rivoluzione economica non si potrebbe fare che sopra vasta scala, quando il proletariato delle città e quello delle campagne di molta parte della Spagna agissero d’accordo. Con energia ed unione, gli operai catalani potrebbero, io credo, fin da ora costringere i padroni a dar lavoro a tutti (cioè a dividere fra tutti il lavoro che c’è), e pagare salari sufficienti per una vita decente; ma non potrebbero sopprimere completamente i padroni, i quali hanno in mano non solo gli strumenti di lavoro, che si possono toglier loro con facilità, ma anche l’organizzazione dello scambio colle altre regioni della Spagna e dell’estero, che è più difficile sostituire da un giorno all’altro.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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