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      E non avrebbe voluto portarselo in pace: disciplina per disciplina, avrebbe accettata quella della milizia, come tanti de' suoi vecchi. E già ne aveva fatto domanda: ma il governo fu tanto assennato, o cosí cieco, da non agevolargli la strada. Ci guadagnò la poesia, che per un anno (il '45, se non erro) con piú ardore fu da lui coltivata.
      Come tutti gli adolescenti delle classi piú colte, aveva egli incominciato ad amare la patria intendendone le misere condizioni per mezzo alle lettere ed al culto dei grandi poeti nazionali; e ciò fin dalle scuole di umanità e di rettorica, siccome è facile scorgere dai primi ed informi saggi poetici suoi, tra i quali si fa osservare il Giovine Crociato, che ritoccò piú tardi, e la Battaglia di Marengo, che pur voleva fare argomento di cure particolari, e da cui segnatamente traluce il pensiero politico che doveva condurre Goffredo alle imprese di Lombardia e di Roma. Nei primi anni di università si venne maturando, non trasformando, l'arte sua di poeta. Ne son frutti notevoli i suoi versi d'amore; i quali, se hanno alcun che di vaporose iridescenze romantiche, lo derivano dai poemetti del Moore, già fatti italiani, e classicheggianti nel verso, da uno scolaro del Monti, il Maffei. L'amore, del resto, non fu per lui un poetico imparaticcio; fu esplosione italianamente sollecita di sentimento e di fantasia, come in tutti i poeti veri. Egli protesta, a quindici anni, in una lettera all'amico e maestro Canale, di non essere sentimentale né platonico: ma è vanteria innocente di ragazzo, che vorrebbe fare da uomo.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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