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      Come disegno scenico e condotta artistica, ha dello Schiller, ma passato alla trafila del Niccolini. Amor della patria ed odio ai dominatori stranieri, vengono visibilmente dal Giovanni da Procida, come l'amore della donna dall'Antonio Foscarini; e a farlo a posta, la debole creatura in cui lo sconsigliato Paolo ha posto l'amor suo, tutto angeli e stelle, si chiama anch'essa Teresa; un nome che non è del 1507, data dell'azione drammatica. Teresa d'Avila, infatti, progenitrice onomastica di tante Terese nel mondo cristiano, morta nel 1582, non fu canonizzata prima del 1621.
      Noto, per ritornare alle ragioni dell'arte, che in questo Paolo da Novi l'elemento lirico non esclude e non soverchia il drammatico. L'invidia dei tribuni s'innesta bene, e fa buon contrasto nel prim'atto con la gloria della incoronazione di Paolo: il tradimento domestico è sceneggiato abilmente nel secondo, fin dal primo apparir di Teresa e del francese Gastone, i cui corteggiamenti s'intrecciano senza sforzo colla nera trama ordita tra lui e i due nemici di Paolo: e questi, che nella loro azione si potrebbero teatralmente confondere con tutti i congiurati del melodramma moderno, sono accortamente distinti dall'autore nei diversi moventi del loro operare; geloso l'uno e rivale sprezzato di Paolo, stolido l'altro e grossamente credulo al peggio per acciecamento di passione politica. Dura l'interesse al terz'atto, quando i due traditori, fidenti in Gastone, si vedono traditi a lor volta da lui: piú cresce al quarto, coll'abbandono codardo che il bel Gastone annunzia con crudel leggerezza a Teresa, e colla inattesa apparizione del finto frate, il quale, di dovunque ci venga, o dal Giaurro del Byron, o dalla Isabella Orsini del Guerrazzi, è qui del tutto originale nella novità della scena, e dà all'atto una chiusa di grande potenza artistica e di commozione profonda.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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