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      Ora, speriamo che re Ferdinando si pieghi alle nostre parole? E in tal caso, farà ciò per amore, o per paura? Che lo faccia per amore, per fede nel progresso, desiderio del bene nazionale e simili cose, nessuno, ch'io creda, il pensa, e riescirei più ch'altro ridicolo, se mi perdessi a ragionare su ciò. Resta che si veda se è sperabile lo faccia per paura. Vi è una paura che la vince su tutte, ed è precisamente ciò che gli chiediamo: chiamare alla vita i suoi Stati, farne un popolo. Ma, e questo popolo non gli chiederà poi conto dei suoi grandi, dati sistematicamente al martirio? S'egli non avesse affogate nel sangue che precise rivoluzioni, alcuno potrebbe fargli credere che egli, introducendo delle riforme, mostrerebbe alla nazione di non aver combattuto solamente per egoismo, ma perché ei credeva di esser piú ch'altri capace di rigenerare i suoi Stati. Si osservi bene, tale non è la mia opinione; ma dico che per cercare di persuaderlo, si sarebbe forse potuto tentare da alcuni, che hanno molta attitudine a ciò, anche questo sofisma. Ma egli, ripeto, ha lanciata la cavalleria su coloro che lo salutavano redentore, che torcevano lo sguardo dalle loro ferite per obliare i vecchi rancori, che per evitare una crisi, che essi credevano terribile alla loro patria, erano disposti a gittar nel mare sin le ceneri dei Bandiera. Che Dio perdoni loro, perocché i piú credevano far bene.
      Ora non è piú possibile un partito che creda in lui. Sono pochi giorni, in Palermo, egli atterrò colla scure la bandiera su cui era scritto "Viva il Re e le Riforme". Da allora non restarono in Napoli che due bandiere: sull'una è scritto "despotismo", sull'altra "rivoluzione": Non esiste piú via di mezzo; l'una o l'altra deve cadere: la lotta fra i due principii è urgente, necessaria, fatale.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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