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      Ma gli uomini che tradiscono per meschinità d'animo i principii, tradiscono per istoltezza gli interessi.
      E l'Ungheria s'avvide che la causa d'Italia era la sua, quando l'imperatore volse contro di loro il nuovo vigore acquistato colla vittoria Lombarda. Mentre da prima il vincere non sarebbe loro costato che il non combattere contro di noi, ora costa loro una guerra, in cui essi riesciranno, ma con enormi sacrificii.
      E noi vorremo imitarli? Gli Italiani tutti non vorranno avere altra anima, altra coscienza che l'anima, la coscienza ministeriale? Che Dio lo tolga; perché ciò significherebbe che la nostra coscienza è fradicia, come il sistema a cui servono i ministri.
      Il nostro, governo, seguitando logicamente la sua via, guarda la questione italiana col medesimo occhio con cui guarda l'europea. Qual è la piú potente ragione che tocca il parlamento di Torino, per domandare la guerra? Il timore che una iniziativa non torinese non sia forse propizia al regno dell'Alta Italia, all'ingrandimento della Casa Savoia. Qual è la prima ragione, dopo la paura, con cui il partito Pinelli rifiuta la guerra? Il timore che l'aderire alla iniziativa degli esuli Lombardi non rinvigorisca la loro bandiera. Sino a queste proporzioni deve impicciolirsi la questione italiana, per poter pur entrare nel parlamento costituzionale! Ma, viva Dio, i governi oramai sono quella superficie gelata, che, mentre s'assottiglia d'ora in ora ai raggi del sole, lascia liberamente scorrere sotto di sé le precipitose onde del fiume.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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