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      Mio fratello Goffredo aveva già composta l'Alba, che comincia con questi bei versi profetici:
     
      L'alba! Là nell'estremo orizzonte,
      Vedi un astro novello: fiammeggiaLa sua luce sul piano, sul monte...
     
      e consacrato il suo biondo capo di poeta alla morte. Mio padre comandava un bastimento, la piú grossa fregata degli Stati Sardi d'allora, il San Michele, nel Baltico: mia madre, sola, mal ferma in salute, rimaneva naturalmente a capo della famiglia, col pensiero del marito lontano, e del figlio già vigilato e sospetto. Di politica, a quell'età, io m'intendevo assai poco; ma un senso di oppressione indefinibile mi pesava sull'animo, come una cappa di piombo... Sapete come si viveva in quei beati tempi? Bisognava nascondere ogni libro e misurare ogni parola; bisognava chinare il capo dinanzi ad ogni mascalzone, purché protetto dai gesuiti e dai birri; mentire continuamente il proprio pensiero, e parer vile, ignorante ed abbietto, per non cadere nelle unghie dei delatori. Ma quando nella mia casa ci trovavamo a porte chiuse, nelle lunghe veglie domestiche, che sono il paradiso dell'infanzia, allora un raggio di sole scendeva anche sull'anima di me fanciullo, perché nostra madre, ricca di una coltura varia e soda, quale in oggi non si dà piú alle donne nostre, ci raccontava le grandi battaglie passate della libertà, e a bassa voce i fasti dei martiri italiani. In un triste giorno del 1821, per le vie di Genova era un silenzio mortale: giovani pallidi e guardinghi si vedevano strisciare lungo i muri, e correre verso la marina, mentre altri, con vassoi tra le mani, si presentavano di porta in porta, a chiedere senza parole la moneta dell'esilio per i poveri fuggiaschi.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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