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      Quel riso sereno dell'anima che sa nulla, e piangendo e ridendo pargoleggia, non può chiedersi ad un'età matura di anni e di studj, come era il secolo di Augusto; né ad un popolo che non ebbe per tanti secoli (se pur mai) altre lettere che straniere. Ma la bellezza dell'affetto, ed in ispecie de' piú cari, che pure è bellezza sempre verde, chi de' Latini e de' Greci vorrebbe contendere a Virgilio? L'amore in altri ora è sozza libidine, ora ambizioso e loquace, dove affoga nelle erudizioni, dove leggero e mobile ad ogni lusinga, e non piú che capriccio di elegante Epicureo: dei Latini sol uno mostra che sentisse piú delicatamente, e l'amore (quanto il reo costume concedeva) nobilitasse col candor dell'affetto; ma non toccò che una corda; laddove tra le mani del grande Epico la lira non ha suono che non renda, e l'armonia ne viene all'anima cosí soave, come al nuovo peregrino in sulla sera la memoria del tetto materno. La poesia interiore, quella che canta i segreti del cuore, fu rivelata dal Cristianesimo; ma in Virgilio spira, quasi annunziatrice degli albori, un'aura di bellezza nuova e profonda. Didone non è solo un bello episodio, una scena passionata; è tutta una storia di una passione tremenda, nel suo nascere, nei primi moti, nella rapida gradazione, nel bollore, negli estremi in che sospinge; storia di amor tremendo in anima intera ed alta; di amore che le cure di un nuovo regno, e acerbe memorie, e santo pudore, e lieti cominciamenti, e tristi abbandoni, atteggiano di grazia, di pietà, di terrore, di forme svariatissime e proprie: è poesia di Latini ed ai Greci nuova, e quasi direbbesi cristiana, piú che gentile.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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