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      . . . . La spoglia di Goffredo Mameli, in forma solenne, con parole di vibrata e maschia eloquenza, era dal Bertani consegnata al Municipio di Roma libera e italiana. E quel Municipio, nel riceverla, ordinava si collocasse in un deposito provvisorio a Campo Verano, ove riposa ancora oggidí. Da quel tempo in poi, nella città nostra, io udii parecchie volte, da privati cittadini e da sodalizi politici, esprimere il desiderio che questa spoglia venisse restituita alla sua Genova, e sepolta sotto l'ombra del salice che copre le ossa del suo Maestro Giuseppe Mazzini, o accanto al suo fratello d'armi Nino Bixio, o nello stesso sepolcro ove dorme l'illustre e valoroso ammiraglio che fu suo padre. Ma io, signori, se avessi il diritto e l'autorità di rivolgere un consiglio ai miei concittadini, vorrei dir loro: lasciatelo a Roma, in quella Roma dov'egli, in un inno immortale, richiamò la vittoria; lasciatelo là, ove volle morire, sul campo d'onore, ravvolto nella sua bandiera repubblicana!
      O Giovani, io mi vergognerei, se a Voi, in questo momento solenne per tutti, nascondessi o adombrassi un apice solo del mio pensiero. Da uomo libero che parla ad uomini liberi, cresciuti alla severità degli studi ed alla sincerità della scienza, io vi dichiaro che, ricordando questa sacra bandiera, non ho inteso né intendo di contrapporla a quella che il glorioso Capo dei Mille spiegava a Calatafimi; ché nel mio concetto queste due bandiere oggidí si confondono in un simbolo solo, il simbolo dell'unità della patria, e ché il connubio fra la tradizione monarchica consacrata dai martiri del 21, e la tradizione repubblicana iniziata dai martiri del 33, è qualche cosa che sta al disopra della volontà degli uomini, un bronzo fuso dai destini d'Italia, che resisterà a tutte le scosse, a tutte le procelle, a tutte le insidie dei suoi nemici interni ed esterni: ché noi dobbiamo circondare di una uguale venerazione il grande apostolo ligure e il filosofo piemontese, che in un volume imperituro convertiva la monarchia alla patria; poiché cosí Giuseppe Mazzini come Vincenzo Gioberti crearono la coscienza nazionale, l'uno parlando al popolo, l'altro parlando ai re, l'uno accendendo nei petti degli Italiani la santa febbre della ribellione, l'altro educandoli all'idea organica del nostro risorgimento.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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