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      Torniamo perciò alla formula della sentenza: "La Filosofia non ha alcuna ragion d'essere perché non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo". Non è vezzo nostro offender nessuno, perché ciò non entra nei limiti della polemica filosofica, e sarebbe un'offesa per i nostri ipotetici contraddittori il ritenere questa una semplice asserzione aprioristica: se essi affermano che la Filosofia non ha alcuna ragion d'essere perché non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo, noi abbiamo il dovere di credere che essi abbiano in qualche modo almeno conosciuto i filosofi per essersi accorti che non ve ne siano due che la pensino allo stesso modo (e non avrebbero potuto accorgersene se non confrontandoli, cioè sottoponendoli alla propria critica personale) e che, solo in seguito a questa superficiale o profonda conoscenza ed a questa critica, abbiano concluso che la Filosofia non può avere alcuna ragion d'essere - ché in mancanza di dati, ossia di elementi di giudizio, non si può giungere, per quel che sappiamo, a nessuna conclusione.
      Ed allora essi hanno conosciuto, criticato, assodato, concluso sia pure a modo loro, e non si sono accorti che questo conoscere, criticare, assodare, concludere implica un'attività del pensiero, anzi è attività del pensiero, cioè Filosofia; non si sono accorti cioè che il loro è stato un procedimento filosofico vero e proprio in quanto dall'esame dei dati, rielaborati dal pensiero, si è giunti ad una conclusione, che è una soluzione di un problema filosofico.


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La Ragione d'essere della Filosofia
di Giuseppe Mannarino
Tipogr. Abramo Catanzaro
1931 pagine 111

   





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